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Ci vuole un pò a notare Lee Bouvier Radziwiłł (1933-2019) nelle inquadrature del film This Side of Paradise (Jonas Mekas, 1999), ma la donna compare come una figura bellissima che si mantiene sullo sfondo mentre i suoi figli e i suoi cugini si tuffano tra le onde.
I colori spenti e lo stile impressionista di Mekas arricchiscono quella lunga estate passata alla casa di Andy Warhol a Montauk negli anni Settanta. A quei tempi, la Radziwiłł era una delle donne più fotografate al mondo, apparendo su riviste e giornali, eppure in pochi riuscivano a penentrare la sua personalità enigmatica.
La principessa Caroline ‘Lee’ Bouvier Radziwiłł nacque nella “nobiltà” newyorkese nel 1933. Suo padre era ‘Black Jack’ Bouvier, un intermediario finanziario; sua madre era invece Jane Norton Lee, una socialite con grandi ambizioni per i suoi figli. Da bambina, Lee fece conoscenza dell’aforisma preferito di sua madre: “la debolezza non è qualcosa con sui si nasce, ma qualcosa che si apprende”.
Molto portata per l’arte, il suo primo amore furono i dipinti rinascimentali, che la portarono a cercare lo storico dell’arte rinascimentale Bernard Berenson (1865 – 1959) nella sua villa a Firenze (I Tatti) quando era solo una ragazzina. Dell’incontro con l’uomo disse “mi sentii come se avessi incontrato Dio in persona” e con lui intrattenne una vivace corrispondenza per il resto della sua vita. In una lettera scrisse: “Sono incredibilmente elettrizzata quando scopro qualcosa che ha a che fare con l’arte e all’apice del piacere quando sono in una galleria d’arte o in un museo”.
Lee si sottrasse alla presenza della madre a vent’anni, sposando l’editore Michael Canfield che però lasciò cinque anni dopo per il principe Stanislaw Albrecht Radziwiłł (1914 – 1976). ‘Stas’, un individuo carismatico di origini polacche e lituane che il New York Times descriveva come “il classico esempio di tutto ciò che è considerate chic e quindi elegantemente sminuito”, stravedeva per la sua giovane moglie e la coppia divenne parte del palcoscenico internazionale.
Con un’ottima conoscenza del francese e dell’italiano, Lee fu in grado di mescolarsi con l’alta società newyorkese ed europea, e di sostenere la sorella Jackie (1929 – 1994), che divenne First Lady quando il marito John F. Kennedy (1917 – 1963) fu eletto Presidente degli Stati Uniti.
Infatti fu lo stile naturale di Lee – che secondo la giornalista Hamish Bowles “definì lo stile americano per decenni” – che diede forma al guardaroba di Jackie Kennedy e la trasformò in un’icona di stile. Lee aveva un “gusto particolare per l’esotico e l’inaspettato” e intuì come i vestiti potessero essere usati per farsi ascoltare nel mondo della politica.
Col passare degli anni, Lee divenne un’ospite estremamente richiesta – nessuna festa a Manhattan era completa senza di lei – sia che fosse nell’Upper East Side che nel Meatpacking District. Truman Capote la annoverava tra i suoi “cigni” – le bellissime socialite per cui stravedeva – e quando diede il suo spettacolare ballo in maschera Black and White al The Plaza nel 1966, Lee era l’ospite d’onore.
Nonostante tutto Lee si trovava a proprio agio alla Factory, assieme a Gerard Malanga e Andy Wahol, o sul bus dei Rolling Stones con Mick Jagger e sua moglie Bianca, con cui era solita andare in vacanza negli Hamptons.
Nello stesso periodo, Lee collaborava anche con artisti e designers. Era la musa di Giorgio Armani e la sua amicizia con Andy Warhol risultò in una serie di ritratti, e poi polaroids, che Lee amava: “Ecco come voglio essere vista – semplice, casual, libera”.
Molto prolifico fu anche il suo lavoro come interior designer. Lee collaborò strettamente con “l’architetto dell’illusione”, Renzo Mongiardino, e la sovrapposizione delle due correnti diede luce a interni veramente incredibili. Due meraviglie nate da questa collaborazione sono le case di Lee a Londra e nell’Oxfordshire, dove i due artisti incollarono sciarpe siciliane nella sala da pranzo e dipinsero gli animali preferiti dei figli di Lee sulle pareti, il tutto con l’idea di creare stanze che fossero essenzialmente tradizionali ma con l’aggiunta di “tocchi bizzarri e deliziosi”.
Il risultato impressionò a tal punto Rudolf Nureyev che il ballerino invitò la Radziwiłł e Mongiardino a trasformare la sua casa di Londra in un harem di ispirazione russo-orientale.
Anni dopo, Lee spiegò come la sua filosofia nel design fosse essenzialmente europea: “Detesto l’idea americana di fare tabula rasa dopo qualche anno eliminando tutto. Quando compro qualcosa, lo faccio con l’intenzione di tenerlo per sempe. Mi innamoro continuamente degli oggetti, e questi mi seguono in giro per il mondo”.
A ottobre, la Collezione di Lee Bouvier Radziwiłł sarà offerta come pezzo centrale alla Collector Week di Christie’s a New York. I contenuti della collezione offrono uno sguardo nella sua affascinante vita da socialite, principessa, designer e testimone di un importantissimo momento della storia americana.
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